Oggi vogliamo aprire una parentesi riguardante i lavoratori dell'arte, dello spettacolo e della cultura. Coloro che conservano, tramandano e divulgano per noi la cultura e i saperi della nostra civiltà. Se abbiamo una socialità, un'economia, un lavoro e una comunità, se sappiamo chi siamo, da dove veniamo e abbiamo la possibilità-capacità di immaginare e costruire un futuro (anche attraverso la ricerca universitaria e d'impresa), lo dobbiamo a chi conserva tutto questo (la famosa "cultura"), cioè i suddetti lavoratori.
Premesso ciò, vi lasciamo alla lettura del testo di Francesco Fracassi, riguardo la situazione lavorativa di queste persone sia a livello nazionale che comunale, che racconta in maniera
sintetica tutte le problematiche e alcuni strumenti che già esistono su cui si dovrebbe puntare (anche a livello locale), per migliorare la situazione e stimolare un cambiamento a livello
nazionale. Cosa quest'ultima che ovviamente non viene fatta, danneggiando i lavoratori e il pubblico che usufruisce dei servizi (conseguentemente più scadenti) offerti.
Il caso dei Musei Civici chiusi, secondo noi è il momento di cogliere la palla al balzo, per parlare di tutte queste problematiche e chiedere collettivamente non solo la riapertura dei
musei, ma anche una stabilizzazione necessaria dei lavoratori.
Al di là della situazione emergenziale che coinvolge molti settori produttivi tra cui, in modo particolarmente pesante, quello dell’Arte, dello Spettacolo e della Cultura, il lavoro artistico e intellettuale è fisiologicamente caratterizzato dalla discontinuità temporale, ma da una continuità legata alla formazione, all’aggiornamento, alla contaminazione.
In Italia non è riconosciuto questo tipo di lavoro, se non in forma di precariato, o in formule poco chiare di lavoro dipendente o autonomo, nonché il fenomeno diffuso dell’esternalizzazione.
I “lavoratori dell’esperienza dell’essere” in Italia producono ricchezza, un’immensa ricchezza, che non viene redistribuita equamente.
Manca una legge sul lavoro che ne definisca e riconosca i diritti e lo statuto sociale.
Ciò e dovuto principalmente per la rigidità del mercato del lavoro che i Sindacati hanno strenuamente difeso contro ogni possibile flessibilità anche di fronte a settori in cui la flessibilità è insita nella specificità del lavoro stesso.
Nei primi anni novanta a livello di direzione nazionale di Cgil, Cisl e Uil si tentò di affrontare questa questione anche per l’evoluzione che stava avvenendo con la creazione di nuove professionalità e nuove modalità di prestazioni di lavoro. la cosa non ebbe seguito per la resistenza delle singole Categorie sindacali che avversavano anche la minima apertura alla flessibilità. Ne uscì solo l’istituzione di un ufficio dedicato ai lavori atipici (!) che non produsse alcun risultato.
In Francia per esempio esiste uno statuto speciale per i lavoratori intermittenti dell’Arte e dello Spettacolo, nata addirittura nel 1936 con la nascente industria del Cinema.
L’intermittenza non definisce uno statuto professionale ma identifica un sistema specifico d’indennizzo. L’intermittenza permette agli artisti, tecnici, operatori culturali di percepire un’indennittà per il periodo di disoccupazione tra due contratti considerato comunque tempo/lavoro per formazione, aggiornamento, prove ecc.
A Venezia lavorano in ambito culturale migliaia di persone tra Musei, Archivi, Biblioteche, importanti Istituzioni Culturali (Biennale in primis) ecc. e proprio per sopperire alla mancanza di una specifica regolamentazione del mercato del lavoro in questo settore si trova nell’ "esternalizzazione” una comoda soluzione nel contrattualizzare la forza lavoro necessaria.
Qui opera in modalità quasi monopolistica Coopculture, una delle più importanti società del settore anche a livello nazionale. Ve ne sono anche altre.
Problemi dell’esternalizzazioni: il primo è che tali società ricevono gli appalti partecipando a bandi di selezione dove il criterio dell’offerta più bassa è dirimente. La prima conseguenza è che tale criterio viene interamente scaricato sul salario dei lavoratori. Come? Utilizzando Contratti nazionali di lavoro di altre categorie: Servizi, Commercio, addirittura metalmeccanici. Contratti che per legge non sarebbero applicabili per specificità di lavoro non attinenti all’oggetto del contratto. Questa cosa va avanti da tempo. È stata più e più e più volte denunciata ma nessuno (Sindacati o Ispettorato del lavoro) è mai intervenuto.
La seconda è che per restare dentro i budget nella selezione dei lavoratori si punta sulla dequalificazione con tutte le conseguenze sulla qualità della prestazione e sull’emarginazione di persone con attitudini ed esperienza che anche attraverso mansioni semplici potrebbe arricchire il proprio bagaglio esperienziale nell’ambito del settore che hanno scelto e per cui si sentono portati.
Faccio un esempio di cui sono testimone: una persona che si è presentata a colloquio con una selezionatrice di Coopculture a Venezia si è sentita dire che avendo avuto esperienze in ambito artistico e creativo non veniva considerata adeguata ad espletare mansioni che richiedevano una certa disciplina e rispetto di regole di lavoro precise.
Il fatto poi che queste società continuino a contrattualizzare i lavoratori sulla base di Contratti Nazionali non attinenti alle loro mansioni risulta ancora più sospetta se si pensa che dal 2006 esiste un Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro Federculture per altro sottoscritto, tra gli altri, da Coopulture che per averlo firmato sarebbe tenuta ad applicarlo. Un contratto che potrebbe esser di molto migliorato se appunto ci fosse uno specifico Statuto per il lavoro nella Cultura, nell’Arte e nello Spettacolo come esiste in Francia, ma al di là di questo c’è e va applicato.
In sintesi:
serve che a livello nazionale si punti ad uno specifico Statuto che regolamenti con adeguati strumenti di tutela il mercato del lavoro nel settore culturale, artistico e dello spettacolo. Si può ampiamente attingere dall'esempio francese.
Va rivista la logica dell’esternalizzazione agendo sui bandi dove all’offerta più bassa deve corrispondere un adeguato riconoscimento di qualifiche, salari, ammortizzatori sociali.
Va imposto alle società che organizzano il lavoro esterno di applicare il CCNL di attinenza, pena la decadenza del rapporto.
Occorre confrontarsi anche a livello locale con i sindacati su queste tematiche.
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